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On-Air : Chopin – Nocturne Op.9 No.2 ( PLAY )
Aldilà della senna c’è lei, oscurata dal lampione ingrigito dagli anni trascorsi; con il suo vestito blu e la scollatura vertiginosa. Mi guarda come se non avesse mai visto un uomo prima. I suoi occhi sbarrati oltre le sponde di quel fiume sono pieni di fervore e vitalità. Posa una mano sul lucernario ed allunga l’altra come se volesse toccarmi, chiamarmi. Continuo a camminare, scanso le poche persone frettolose di rincasare continuando a guardarla. Mi fermo, poggio le mani sul muretto, aguzzo la vista e scorgo ancor più incuriosito i suoi lineamenti. Le posate curve della sua siluette che si mostrano sotto la luce soffusa fa scaturire in me qualcosa di sano, qualcosa di puro, qualcosa che nessun’altra aveva mai fatto scaturire con un solo sguardo.

Non so cosa la attrae di me. Io, povero scrittore di strada, un sognatore, uno che non si taglia la barba e rappezza i pochi stracci che indossa. Se non fosse per questa città non mi definirei un bohémienne, ma straccione; uno che vive giorno per giorno regalando pezzi di storie e fantasia ai passanti, ai bambini che si avvicinano e vogliono sentire la vicenda del guerriero impavido che difende la città da nemici.

Sono ancora lì a guardarla e lei ancora, imperterrita, mi fissa, mi osserva, mi squadra, mi studia come un generale studia una strategia per schierare lo squadrone d’attacco. Tolgo le mani dal parapetto e mi avvio al ponticciolo Vargon. Si chiama così in onore di Ludovic Vargon, un cantastorie del 1800. Sarà un caso, o forse no. È il destino che vuole me, vuole che io, questa sera, imbocchi questa stretta e lunga strada che conduce aldilà dei miei pensieri, dove nulla è ciò che è e quel che sembra potrebbe non esser vero.

Cammino sul ponte cercando di pensare a ciò che le passa per la testa. Cercando un modo per avvicinarmi senza far la figura del povero sprovveduto. Mi costringo ad essere nessun altro che me stesso. Se qualcuno a questo mondo lo vorrà, e quel qualcuno son proprio io medesimo, allora perché pensar di esser altri nel momento in cui te stesso è solo ciò che serve? Perché questo pensiero insano, umano, insito nel retaggio che il tempo e le generazioni passate ci hanno imposto, talvolta involontariamente, tanto che la falsità del nostro Io è la prima cosa che il prossimo incontra, e solo dopo indicibili volte ci presentiamo agli altri come noi stessi?

Ma basta pensare. Svolto l’angolo del ponte e mi avvicino sempre più a lei. Le luci, che sul ponte erano piene di calore e brillanti come il sole, iniziano ad incupirsi ed allontanarsi. Oramai son li, a pochi passi. Mi continua a fissare e con le labbra, quelle labbra teneri come il muschio dopo pioggia autunnale, formano un sorriso, senza aprir bocca. Sbatte gli occhi e gira lo sguardo, le sciocche arrossate e le mani bianche come il candido colore dell’innocenza. Mi avvicino ancora, un passo avanti e mi appoggio con il viso al suo collo. Respiro dalla sua pelle ed odoro qualcosa che mai prima avevo provato. In tutti quegli anni le mie narici non si erano mai inebriate di un sapor tanfo soave. Non si può ancor descrivere ma perché parola coniata ancor non è stata, ma ero sicuro di riconoscerlo fra mille e più di altri sapori. Senza vedere e senza toccare sarei riuscito a ritrovar quel fiore che tanto mi aveva colpito. In trenta e più di anni della mia giovane vita, in cui sapor e sapori di mille colori odorato avevo con furtiva acutezza, mai incrociato ciò non avevo di tanto inebriante spiro.

Un sogno, una fantasia, forse qualcosa uscito dalle mie favole, cosa sei riuscii a chiedere, chi sei riuscii a dirle e nulla più. Si voltò verso di me e con la mano mi sfiorò la guancia, mi sorrise ancora una volta e con gli occhi mesti e sereni non disse nulla, ma fece capire cosa e qual pensiero navigava nell’oceano della sua mente. Quale ciclone è tempesta erano in atto nei sui pensieri.

All’improvviso ‘BUM’, mi giro, un portone che si chiude, una serranda sprangata verso l’interno della casa alle mie spalle. Mi rigiro verso di lei nuovamente ma nulla, a parte il suo sapore, restò sotto quella luce. Mi coccolai ancora un pò tra il suo respiro e per un pò sembrò che tutto aveva un senso, tutto era stato tutto per aver quel solo attimo di pace.

Ci son persone che vivono tutta una vita senza mai incontrare nessuno che possa farli sentire come io mi son sentito in quel poco tempo fuggito. Il suo odore dimenticato non sarà, mai più. Ed il suo sorriso, la sua bocca sono cuscino che allieta i miei sonni ancor oggi e mi fa sentir vivo anche se il cielo è il tetto della mia casa e quel che trovo gli indumenti del mio corpo.

RudiPhotoArt

Inaspettata piacevolezza

ON-AIR: Travis – Sing ( PLAY )

Iniziamo col dire che non è un’altra storia lussuriosa.

E’ da lassù che son sicuro di aver trovato l’ispirazione. E’ da tanto che la osservavo  da quel tetto. E’ da tanto che trascorrevo interi pomeriggi in questo modo.

La mia chitarra ha accompagnato il suo lavoro ed il suo profumo ha ispirato la mia mente incantandola. Ogni pomeriggio alle quattro in punto ero li, in pieno stile stalker. Mi appoggiavo al parapetto, liberavo la mente concentrandomi soltanto su di lei e suonavo.

Impaziente, aspettavo che uscisse di casa. Un giorno come tanti, trench color panna, gonna a tubicino, parigine a righe colorate e decoltè intonate alla borsa. Non poteva esser più sexy di così. Capelli ricci, sciolti al vento e due occhi castani immensi quanto Central Park dinanzi al palazzo. Vicini di casa eppure lontani anni luce in questa vita, in questa dimensione. Le nostre strade spesso facevano capolinea nei nostri sguardi ma la mia voglia di parlarle e le mie parole si smorzavano in gola come in una stretta. I pensieri, sempre più confusi, lasciavano spazio all’immaginazione surreale del momento. Abitavo da tre anni in quel palazzo e lei entrò nei miei pensieri fin dal primo istante.

Cecilia è il suo nome. Uno spettacolo di bellezza, solarità e magnificenza. Nel momento in cui la vidi la prima volta il mio baricentro si spostò. La gravità non era data più dalla terra, ma da lei. Qualsiasi cosa mi attirava verso di lei. E non c’era modo di evitarlo. Era in ogni cosa. Nel volto di ogni persona, nella vetrina di tutti i negozi. In tre anni ci siamo salutati qualche volta, le presentazioni del primo giorno e poi niente più come se ci fosse stato un muro di plexiglas a dividerci.

Una sera tornando dalle prove con il gruppo mi servii dell’ascensore per arrivare all’appartamento. Era più tardi del solito, intorno alle undici e mezza. Ero di cattivo umore per colpa di un idiota che mi aveva tamponato al semaforo. Era un ragazzo che tornava da una cena e qualche bicchiere di troppo probabilmente gli aveva annebbiato la vista. Abbiamo perso più di un’ora per mettere tutto a posto.

Quella sera entrai con un’altra persona a seguito. Ancor prima di voltarmi capii che era lei. Il profumo targato Dior erano un timbro. Mi girai, la vidi e la scrutai interamente per un istante. La consuetudine di indossare le parigine faceva parte del suo essere. Abitavamo entrambi all’ottavo piano.

Si chiusero le porte. << Ottavo giusto? >> Le dissi. << Si, giusto… >>, con il sorriso mozzato. Avrà avuto una pessima giornata anche lei.

L’ascensore inziò a salire. Primo priano, secondo, terzo, quarto, quinto… Tra il quinto ed il sesto si sentii una specie di tonfo e un rumore cupo. l’ascensore si bloccò e le luci si spensero…

<< Nuovamente >> disse Cecilia. Lo disse come se non fosse stata la prima volta. Lassù qualcuno ha letto i miei pensieri ed ha ritenuto importante darmi una mano.

<< A volte capita. Spero non sia andata via la corrente in tutto il palazzo >> le risposi.

Prendemmo i cellulari, nessuno di entrambi aveva copertura.

Quasi infastidita << Questi ascensori! Non riescono a risolvere nemmeno il problema della rete >>.

<< Noto che non è la prima volta >>

<< No, anche la settimana scorsa. Ma i soccorsi vennero subito >>

<< Potremmo aver fortuna anche stasera >>

<< Non credo, è tardi e a quest’ora solitamente non passa nessuno >>

Pigiammo il campanello di soccorso aspettando che qualcuno si accorga della luce esterna e lo chiami.

Ci accasciammo nella piccola cabina. Seduti.

Nel buio dell’ascensore accendemmo i cellulari per portar un po’ di luce.

Rimasi sbigottito quando mi rivolse la parola dicendo << Tu sei Giò, il mio vicino – Sai, ho sentito qualche vostro brano on-line. Mi piace la vostra musica >>.

<< Benedetto l’inventore di Myspace >> pensai. Stupito dal fatto che ci conoscesse la ringraziai ed inizia a farle una serie di domande su quali fossero le sue preferenze in ambito musicale.

Mi disse sorridendo che ogni tanto mentre lavorava nella sua cameretta apriva la finestra per sentir un chitarrista che suonava sul tetto. Sapeva che ero io e mi chiese come mai andavo a suonar la sopra. La risposi dicendo che quel posto  era l’unico dove mi sentivo libero di esprimermi. E poi imbarazzato le dissi che speravo che lei ascoltasse. Le piaceva la canzone “We all go back to where we belong“.

Mi chiese il motivo per il quale volevo che lei ascoltasse. Le dissi che era una vita che cercavo di parlarle e l’unico modo che conoscevo per avvicinarmi era la musica.

<< E ci sei riuscito! >> disse lei.

Ed io meravigliato << In che senso ci son riuscito? >>

<< Sei riuscito a farti notare ma non ti sei mai fatto avanti >> e poi continuò << Hai la tua chitarra con te, perchè non mi fai sentir qualcosa? >>

<< Volentieri >> E così sfoderai la chitarra ed inizia ad intonare qualcosa…

Le piacque perdersi nelle note e in quelle parole.

<< Hai dato un tocco di gioia alla mia giornata Giò >> mi disse con un sorriso stupendo sul volto.

All’improvviso tornò la luce e l’ascensore riprese a salire. Ottavio piano…

Uscimmo. I nostri appartamenti erano uno frontistante l’altro. Stavamo andando nuovamente per le nostre strade e da lontano già sentivo quel muro di plexiglas rialzarsi quando successe una cosa strana. Lei si girò e mi disse << Perché la prossima volta invece di suonare sul tetto non suoni da me? >>

<< Certo, volentieri. A presto allora, grazie per la chiacchierata… Notte… >>

<< Notte allora… >> rispose.

Mi sorrise e rientrò nel suo appartamento.

Mi fermai con le spalle sul muro del corridoio e, guardando all’insù, restai a pensare a ciò che era accaduto quella sera in quell’ascensore nutrendo un’inaspettata piacevolezza. A cosa sarebbe, o meglio non sarebbe accaduto se quel ragazzo non mi avesse tamponato, se l’ascensore non si fosse fermato all’improvviso o se lei fosse arrivata solamente cinque secondi più tardi. A volte non tutti i mali vengono per nuocere.

Già non vedevo l’ora di star da lei domani.

Ma questa è un’altra storia…

RudiExperience

Palindromo

Avete ragione. Neanche io ho resistito alla tentazione. Ma posso mai aspettare il prossimo secolo per commentare un avvenimento simile? La figata è che questo post verrà pubblicato l’ 11/11/11 alle ore 11:11 am!

E quindi aspettando la tanto attesa ora faccio il resoconto della mia vita. Non si può mai sapere. Tra i Maia che tra un anno vorrebbero vederci tutti crepare, le date palindrome, la caduta incombente del governo e il fallimento dello stato la fine del mondo sembra essere sempre più vicina. Penso che tutto sommato probabilmente non sarà di natura apocalittica ma economica visto l’andamento mondiale degli ultimi mesi.

Prendo un foglio di carta ed inizio a scrivere. Un segno più accanto agli avvenimenti positivi, un segno meno accanto quelli negativi. Chissà perché i positivi son sempre in maggioranza. E così tracciando una bella riga in basso a destra sommo tutto.

Alla fine dei conti non sembra essere andata proprio così male fin’ora. A dir il vero non ho da lamentarmi quasi di nulla. E quindi aspetto “l’ora fatale” tranquillamente, come ogni altro momento della mia vita sicuro di non aver nessun rimpianto.

L’altra sera dal cinese apro il biscotto della fortuna e leggo la frase. “Un avvenimento inaspettato ti farà molto piacere“. Non ho vinto il SuperEnalotto ma qualcosa si è mosso. Fatalità o destino? Non so. Intanto quest’oggi esprimerò un desidero, non si può mai saper che si avveri. Male che vada finirà il mondo… finanziario.

RudiExperience

Altri Orizzonti

Song: De Gregori – La donna cannonePlay )

Serate disseccate da monotonia serrante.

Le paure, quelle vere, cestinate da tanto sollazzo.

Un’ombra diverge dalle ceneri ardenti

all’orizzonte stremate le tante serate

di notti insonni e tanti tormenti.

La testa mi scoppia sui vili lamenti

di voci stressanti quanto inquietanti.

La strada è una sola

quel che porta al creatore

dammi uno spiraglio

e ti dono il mio amore.

Lenta, distaccata è la solita mia suonata

pertanto indicata, quanto ammirata.

RudiExperience

27 volte idiota!

Questo post è stato scritto per farvi annoiare a morte stasera. Prima di andare in ferie vi lascio con un bel ricordo, così è sicuro che non vi dimenticate di me. Credo che apparirò spesso nei vostri incubi.

Ho girato un video, scandaloso, in cui ho inserito un pò di cazzate. Perchè ogni tanto anche sul blog è doveroso andare in OT.

Per la “gioia” dei vostri occhi e delle vostre “orecchie” eccovi il video in cui cazzeggio aspettando il compleanno di domani.

RudiExperience