Darkness of my Heart

On-Air: Eddie Higgins – Yellow Days ( PLAY )

18 Aprile 1954

Nelle strade dei sobborghi di New York non c’è altro che feccia. Qualche lampione acceso, delle puttane sotto ai porticati, bar aperti pieni zeppi di ubriaconi e nulla più. Questa città sta diventando sempre più uno schifo. Giro la macchina e faccio ritorno verso casa.

Una giornata di merda, come tante altre. Ma oggi un pò di più. C’era il funerale di Harbert, il mio migliore amico e collega ammazzato da quei mafiosi del cazzo l’altra sera in un agguato all’angolo tra Main Street e l’Ottava. Gli faremo vomitare pallottole a quegli schifosi, penso. Ma l’attenzione di oggi non era esclusivamente per il povero Harbert. Mi aspettavo di trovare tutti al funerale, ma non lei. Non li, non dopo tanti anni.

Un battito asincrono ha rispolverato i colori di questo cuore in banco e nero.

Rientro in casa. Salgo le scale che mi portano al primo piano. Ogni scalino sembra alto decine di metri. Arrivo sù quasi col fiatone. Di ritorno dopo una giornata esilarante, stancante e orribile. Fuori piove ancora. Non accendo la luce perchè basta quella sfocata dell’insegna luminosa lampeggiante al di fuori della finestra. Entra in casa attraverso le veneziane in legno creando un effetto curioso sul pavimento, tipo strisce rettangolari. Getto sul divano il soprabito rimpinzato d’acqua e vado verso il giradischi. Sfoglio, Eddie Higgins, uno dei miei preferiti. Metto sù il disco e mi avvicino al frigorifero. Lo apro, vuoto. Faccio una faccia schifata pensando che è veramente tanto che una donna non mette piede in questa casa. Prendo il pacchetto di Lucky e me ne accendo una. Faccio una tirata lunga come fosse la prima boccata d’aria dopo anni. Oramai i miei polmoni vivono più di fumo che di ossigeno. Caccio fuori il fumo e parte un colpo di tosse. Alzo il pacchetto e lo guardo dicendo:

Mi ammazzerete… ma senza di voi non posso vivere brutte stronze“.

Mi avvicino al banco dei liquori e prendo la bottiglia mezza piena di Jack Daniel’s.

Inizia la musica, solo pianoforte. E’ rilassante, mi fa pensare e non mi fa incazzare facendomi imprecare come un matto. La sigaretta tra le dita della mano destra e la bottiglia nella mano sinistra. Mi corico sul divano accanto la finestra e, tra una boccata della mia aria ed una bevuta mi incanto fissando l’ombra di quell’insegna mezza rotta sul pavimento del mio appartamento fatiscente.

Dopo la terza bevuta la testa inizia a volteggiare ed i ricordi riaffiorano come se fossero stati appena vissuti.

Io. Io e Harbert. Io, Harbert ed Angie. Inseparabili. Diciassette anni a testa ed un futuro pieno di sogni. Andavamo su e giù per la città come se fosse nostra. Avevamo tutto quello che un ragazzo del dopoguerra desiderava. Un tetto sotto cui dormire, tanti giochi e amici con cui condividerli.

Abitando su questa collinetta il nostro passatempo preferito era quello di scendere la strada con una specie di funambolica macchina in legno che il padre di Angie ci aiutò a costruire. E poi la sera ci piaceva suonare. Imitavamo, davanti a strumenti fittizi, i grandi della musica che sentivamo alla radio – Annette Hanshaw, Helen Morgan e Greta keller. Io al piano, Harbert al contrabbasso ed Angie con la sua angelica voce.

Era anche il periodo in cui io ed Angie stavamo insieme, non riuscivamo ad essere solo amici. E comunque quando c’era Halbert ci veniva naturale non farglielo pesare. Lui era felice di star con noi.

Ma i giochi durarono ben poco, qualche anno. Io e Harbert ci arruolammo, non c’era l’opportunità di studiare ed il lavoro era ancora meno. Angie restò con la famiglia. Ci giurammo di star insieme per sempre e non lasciarci mai.

Ma si sa, le promesse son fatte per essere infrante.

E quindi, nonostante io e Harbert facevamo il possibile per tornare a casa ogni quattro mesi non riuscii a far nulla per continuare serenamente il rapporto con Angie. Finì in una sera d’estate del ’26. La nostra amicizia, come il nostro amore, si dissolse in una notte. Non la vidi più. Io ed il mio fedele amico continuammo per la nostra strada. Nel 37′ riuscimmo a passare in polizia e a farci trasferire ad uno dei distretti di New York. Era come essere tornati ragazzini.

E dopo vent’anni eccomi qui. Di fronte al buio di questa stanza pensando ad Halbert freddato a due passi da qui e, soprattutto, a lei. Oggi era la. Non so come abbia fatto a saperlo ma era la. Non poteva esser un’altra persona, anche se non fumavo e bevevo da più di otto ore ero più che lucido. Pensavo che fosse scappata da tutto quello schifo. O Forse no. Forse non era riuscita ad avere una sua nuova vita. Questa cosa la consideravo impossibile, non c’era qualcosa che voleva e non riusciva ad avere. Ricordo i suoi lineamenti come se le avessi detto addio questa sera stessa. Non riuscivo a toglierle gli occhi da dosso. Sarà per questa sensazione che in tutti questi anni non ho voluto più nessuna accanto a me. In fondo, dentro di me, stavo ancora mantenendo la promessa.

Ed ora mi trovo qui, su questo divano a sentir musica con tanti rimpianti, tanti si, tanti ma.

Mi torna in mente oggi pomeriggio. Quando è finita la cerimonia mi è passata accanto. Ha alzato il grande cappello nero e mi ha rivolto lo sguardo. Mi Ha sorriso un momento e poi ha abbassato nuovamente il cappello sparendo alle mie spalle.

Non riesco a far altro che pensarla. Vorrei incontrarla di nuovo, ma son sicuro che non è una buona idea.

Ritorno sui miei passi convincendomi che è stato meglio così, fermarla sarebbe stato come tornare a quelle serate di Jazz e Soul davanti ai nostri strumenti di legno fatti a mano.

Povero Harbert, riposa in pace amico mio.

All’improvviso un suono diretto sento provenire dalla porta “Toc Toc Toc”. Tre Bussate.

E  non riesco a far altro movimento che sbarrare gli occhi e sentir il rumore del mio cuore asincrono.

RudiPhotoArt

Lesbian for a night!

Song: Feeling Good – Muse ( Link )

E poi ci son quelle notti, strane, in cui ti svegli nel bel mezzo della notte. Mentre guardi l’orario ritornano in mente frammenti di sogno. Ti sforzi nel cercar di ricordare ciò che è stato frutto della tua immaginazione. E ritornano alla memoria più scene. Una ragazza alta, bionda, occhi verdi – la chiamerò Iris. Cammina per strada, sola. Cerco di guardarmi intorno ma non riconosco la via, non riesco a focalizzare bene il posto dove sta camminando. Sembra una strada di città, i lampioni alterni illuminano la via, la ragazza e il suo vestito. Indossa un vestitino blu notte che inizia dal seno per finisce sopra le caviglie. Tacchi a spillo e calze autoreggenti. Attorno a lei solo palazzi, sembran vuoti – sarà per l’ora tarda. Cammina per strada sicura, non sembra curarsi del fatto che a quell’ora possano circolare malintenzionati. Guarda intorno, si gira per osservare ogni macchina che passa come se stesse aspettando qualcuno. Improvvisamente se ne ferma una. E’ grigia, forse una Serie1, forse un’altra, non ricordo bene. Accosta e dall’interno aprono lo sportello per far si che salga. Provo ad affacciarmi verso la portiera per vedere all’interno chi è il guidatore. E’ un’altra ragazza. Di questo ne son sicuro. Le davo l’età di Iris. Non ricordo bene il volto. Anche lei vestita elegante, capelli castani e collanina sfavillante. Tacchi ai piedi ed un nome glitterato inciso accanto allo specchietto: “Sally”. Sally ed Iris. Chissà qual’è la loro destinazione.

Poi, all’improvviso, il sogno cambia locazione. Mi trovo fuori un locale, è super affollato. Parcheggia una macchina, son loro. Mentre escono dalla macchina almeno la metà delle persone che sta al di fuori del locale le guarda. Son sicuro che ognuno di loro anche per solo un attimo ha pensato di stender loro un red carpet fino al tavolo dove siedono solitamente perché, anche se i ragazzi stan li con le fidanzate, in quel momento, in quell’unico attimo, l’attenzione e l’attrazione è tutta per loro. La loro bellezza è struggente, mozzafiato, da capogiro. Prendono posto su due sgabelli accanto al bancone. Il barista sembra conoscerle bene – “Il solito” chiedono. Sally con molto charme aggiunge: “Al mio già sai, almeno tre olive”. Credo si riferisse ad uno dei suoi cocktail. All’improvviso una calca di gente intorno a loro. Tutti ragazzi bramosi di avere i loro cinque minuti di gloria per raccontare in giro le loro gesta. Ma le ragazze non sembrano essere interessate. Nessuno di loro questa sera sarà così fortunato da rivolger loro la parola per più di dieci secondi.

Arrivano i loro cocktails. Uno è un “Martini cocktail” con tre olive. l’altro sembra un “Redbull e Vodka”. Saranno in serata. Dovranno festeggiare qualcosa. Fanno un primo giro, poi un altro ancora, e alla fine un ultimo. Nel mezzo tante chiacchiere e risate. Non riesco a ricordare di cosa parlava.

Cambia di nuovo la locazione. Sempre loro, Iris e Sally. Sembrano legate per la pelle in questa notte. Si trovano sul cofano della macchina in un parcheggio. Non c’è nessuno attorno loro. Hanno in mano una bottiglia di birra a testa e si passano, con molta eleganza, un sigaretta rollata a mano, credo una canna. Non ricordo l’odore. Non so dire che tipo di erba sia. Ma penso che era roba di gran classe. Loro non sembrano affatto tipe da poco. Mentre si passano la canna l’un l’altra Sally getta del fumo in faccia a Iris, lei socchiude gli occhi e le sorride. Sarà il fumo, o il troppo alchol ma Sally ci prova. Le dà un bacio. Presa dalla stessa indole Iris ci sta, lo condivide. Un intreccio di lingue fa scattare una passione che fino a cinque minuti prima non sembrava esistere. Gettano via lontano le bottiglie e la canna. Entrano in macchina. Sally continua a baciarla, si scosta dalla bocca ed inizia sul collo, poi sulla spalla, sull’omero, sulla scapola. Poi si sposta ancora arrivando, con movimenti sensuali quasi come due amanti che si conoscono da tempo, fino al seno. Iris non si ferma, è sorpresa dalla situazione, solo un pò impacciata. Sembra essere la prima volta per lei. Forse lo è con lo stesso sesso. Ma non sembra affatto disturbarla da questo. Sally, invece, si trova a suo agio. Già padrona della situazione sapeva come muoversi attraverso il corpo di Iris. Man mano il vestito blu scendeva fino a scomparire facendo emergere tutto il suo corpo. Due persone che diventavano, per una sera, la stessa passione. E’ iniziato tutto per gioco. Mi trovavo la ad osservarle. Avevo la brutta sensazione di essere uno spione indesiderato. Ma loro non potevano di certo vedermi: era il mio sogno. Sally ed Iris. Una serata diversa dalle altre. Continuo a vederle mentre, tra una risata e l’altra, realizzano ogni loro piccola sensazione, curiosità, fantasia.

All’improvviso Stop! Mi sveglio, il sogno finisce e mi ritrovo in un incubo: la realtà. Non son riuscito a vedere la fine di questa serata ma credo che l’avranno finita alla grande. Quanti di voi mi hanno invidiato questa notte? Non pochi sicuramente! Provo a prender sonno nuovamente, ma credo che oramai Sally e Iris abbiano ripreso la propria strada. Il sogno è stato un evento solitario.

RudiExperience